LE VISITE

martedì 19 luglio 2011

REALISMO MORALE


IL PASSATO E L’ETERNO – Dateci qualcosa di nuovo, sento sospirare da ogni parte. Ma noi che crediamo alle leggi immutabili della natura umana, non abbiamo nulla di nuovo da apportare oltre all’eterno. La vita non è una novità, ma rinnovamento. Innovare, se non è continuare, significa uccidere: il male e la morte sono i soli inizi assoluti permessi all’uomo. Ogni sana rivoluzione è come un temporale, in cui la folgore che spezza prepara la pioggia e la feconda: essa ricopre e rifeconda la vera tradizione, fa coincidere l’entusiasmo e il tormento dell’ora che passa con il fondo immutabile della storia. Così la nuvola che fugge feconda la terra che rimane

E, rivoluzionario che uccide la tradizione non vale più del fariseo che la perpetua in maniera morta: qui si imbalsama, là si abbandona al forno crematorio, ma in ambedue i casi, è su di un cadavere che si lavora. L’unica saggezza consiste nel salvare la vita e la giovinezza delle tradizioni in ciò che essa hanno di conforme alle esigenze centrali della nostra natura.

Coloro che vogliono la novità ad ogni costo, la novità in quanto tale, non credono in questa natura, e la vita, per loro, non può essere altro che una successione di inizi che si distruggono l’un l’altro, una serie di aborti. Si tratta di una morbosa sete di novità che si confonde con il gusto della morte. Baudelaire aveva la realtà di riconoscerlo.

Il problema, d’altronde, non si pone in termini di storia: si pone in termini di ontologia. Non siamo dei “passatisti”. Non adoriamo il passato in quanto passato; il valore delle cose non è, per noi, in funzione della loro antichità: altrimenti lo statalismo romano del IV secolo ci sarebbe più caro della civiltà medievale. Quel che noi amiamo in certe dorme del passato, è un’incarnazione più profonda della verità umana e sociale. E se vogliamo far rivivere quelle forme seppellite sotto le chimere di un mondo in preda alla follia - e sappiamo che non è possibile, poiché l’irreversibile corso della storia, se non riproduce mai l’identico, riconduce pur sempre il simile – è unicamente perché esse ci paiono più conformi ai bisogni essenziali dell’umanità. Il volto del passato ci attira soltanto nella misura in cui è su di lui il riflesso dell’eterno.

Tali eterne forme della vita sociale (famiglia, raggruppamenti locali e professionali a misura umana, aristocrazia, patria, chiesa) sono oggi a tal punto vacillanti o abbattute, che molti uomini sono tentati di cercare la salvezza al di fuori di loro. Queste cose sono fallite, ci si lamenta, vogliamo del nuovo. Al che possiamo rispondere in un sol modo: per malate che siano queste necessità, non è possibile sfuggirne. Rinnovate la famiglia, rifate un’aristocrazia, rianimate il senso patriottico e religioso, altrimenti morirete. Certi folli ossessionati dalla sete del nuovo assomigliano ad un tisico senza più fiato, che voglia respirare altrimenti che con i suoi polmoni. Ma bisogna, che i suoi polmoni guariscano p che acconsenta a morire; a meno che non, prolunghi la sua agonia con l’aiuto di un polmone d’acciaio.

Ma, nel momento in, cui siamo, questa nuova maniera di respirare ha già dato abbastanza prove…

Nulla di nuovo sotto il sole: la constatazione di questa evidenza non deve generare pessimismo, poiché tutto ciò che merita di vivere e di durare rimane indefinitamente rinnovabile.

(Gustave Thibon, Ritorno al reale – prime e seconde diagnosi in tema di fisiologia sociale, effedieffe, pag 297, 298)

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