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domenica 11 aprile 2010

Un uomo, un combattente: Lech Aleksander Kazcynski

Dovessimo stabilire una graduatoria dei popoli europei che più hanno sofferto nella nostra storia, credo che uno dei primi posti spetterebbe alla Polonia. Una nazione che per anni non è mai esistita, trattata come pedina degli scacchi o carta da briscola che i giocatori continuavano a sfilarsi: per 123 anni a partire dal 1772 la Polonia è stata spartita, divisa, smembrata tra la Prussia di Federico II, l’Austria di Maria Teresa e la Russia degli Zar. Nel 1795 venne addirittura cancellata dalla carta geografica. Una condizione rispetto alla quale la nostra Italia “mera espressione geografica” nella definizione del principe Klemens von Metternich ha certo una posizione da invidiare.
Eppure la Polonia ci ha dato tanto, più di quanto crediamo: la prima Costituzione europea a essere scritta è stata la Costituzione polacca di Maggio. Facciamo riferimento al 3 maggio 1791: l’ultimo focolare di resistenza nazionale prima di soccombere delineò per la prima volta sulla carta costituzionale i principi di giustizia, liberalità e libertà su cui si fonda una nazione. La prima costituzione d’Europa, e la seconda al mondo dopo quella americana del 1787. Della Polonia in fondo non è mai importato niente a nessuno, se non per lo sfruttamento delle miniere minerarie della Slesia: neanche a Wilson, il presidente americano promotore della Società delle Nazioni che nel 1919 ridisegnò l’Europa alla conferenza di Parigi-Versailles, importava molto la sorte dei polacchi: fu elargita dall’alto la creazione di uno stato polacco solo per creare un cuscinetto tra la tedesca Repubblica di Weimar e la nascente Unione Sovietica, condizione che ben presto porterà il giovane stato polacco ad essere schiacciato nelle tenaglie di due giganti del male, Hitler e Stalin.
Eppure il popolo polacco ha sempre lottato per la propria libertà , non ha mai sopportato i tiranni, a qualunque nazionalità appartenessero. Trent’anni fa, nell’anseatica città di Danzica, nasceva Solidarnosc, il sindacato autonomo dei lavoratori “Solidarietà”. Nata come organizzazione sotterranea e libera espressione delle manovalanza dei cantieri navali del Baltico, è poi divenuta un gran movimento di massa, di animo cattolico e anticomunista (allora erano i russi i tiranni che gravavano sulla Polonia) che arriverà a incrinare il potere del generale Jaruzelskij armata dell’inesprimibile desiderio di Libertà connaturato a ogni uomo, grazie all’impegno di persone come Lech Walesa, fondatore del movimento e fecondo attivista che riceverà il premio nobel per la pace nel 1983.
La Polonia ci ha donato personaggi straordinari, l’apice, l’indimenticabile Giovanni Paolo II che ci ha commossi con il suo invito ad aprire le porte a Cristo. Lech Aleksander Kaczynski era uno di questi uomini straordinari. Era, è deceduto oggi 10 aprile 2010, nella catastrofe aerea di Smolensk che ha portato alla decapitazione di tutto l’establishment polacco. A settant’anni dal massacro di Katyn, in cui 27.000 soldati polacchi furono sterminati dalla polizia segreta sovietica NKDV, di nuovo la Polonia è ferita. Un uomo coraggioso era Kaczynski, un uomo che non doveva essere là in quel momento. Avrebbe dovuto partecipare tre giorni prima alle commemorazioni insieme al presidente russo Vladimir Putin, ma si era rifiutato di partecipare per non stringere al mano all’ex agente segreto del Kgb, in un atto di estremo orgoglio e amore per la propria nazione. Aveva mandato il premier Donald Tusk, mentre lui, presidente della Repubblica di Polonia, avrebbe partecipato alle commemorazioni del fatale 10 aprile 2010.
La nebbia ha fatto precipitare il Tupolev Tu 154 su cui viaggiava il presidente, terribile come la nebbia della storia che aveva inghiottito e nascosto il massacro di Katyn. Kaczynski, una vita, un combattente. Un uomo che per la sua patria insieme al fratello Jaroslav batteva i pugni su tutti i tavoli d’Europa, calpestava ogni ipocrisia e doppiogioco, uomo morale e intransigente che minacciava veti alle risoluzioni europee ogniqualvolta venisse toccata la sua nazione o valori come le radici cristiane. Stava antipatico a molti in Europa, ma non gli importava.
Lui e Jaroslav venivano chiamati i “gemelli ribelli”, venivano definiti demagoghi, destristi, infatuati di puro nazionalismo e clericalismo, se ne sono fregati, andavano diritti per la loro strada e hanno contribuito a far tornare grande la Polonia. E il popolo polacco lo sa, tanto da decretare una settimana di lutto nazionale, da interrompere il campionato europeo di pallavolo, la cui fase finale si sarebbe svolta proprio a Varsavia, mentre i principali giornali titolavano: “La seconda Katyn”.
Figlio di un ingegnere veterano dell’insurrezione di Varsavia e di una professoressa di filologia, Lech si laurea in Legge e Amministrazione all’università di Varsavia. Nell’agosto del 1980 diviene consulente del comitato scioperi del porto di Danzica e membro attivo di Solidarsnoc, tanto da essere internato nel 1981 durante il periodo di legge marziale contro i nemici del regime satellite dell’Urss. Nel 1989, caduto il muro di Berlino e crollata la cortina di ferro, viene eletto in Parlamento e diviene il vice di Solidarnosc. Un combattente vero, che per realizzare i suoi progetti per la Polonia ruppe addirittura con i suoi amici, creando nel 2005 il partito “Legge e Giustizia” che doveva rivelarsi una macchietta e invece stravinse alle elezioni presidenziali di quello stesso anno.
Certo, era un uomo scomodo a molti: aveva richiesto ad esempio a tutti gli intellettuali polacchi di sottoscrivere come atto di fiducia il giuramento di non essere stati mai complici del regime filo-comunista. Un uomo che arrivò ad aspri colloqui anche con l’amico Bronoslaw Geremek e con i principali capi d’Europa. Spero non sia così, ma secondo me in questo momento l’asse franco-tedesco, la Merkel e Sarkozy staranno sospirando si sollievo per la mancanza di uno dei leader più euroscettici dell’Unione Europea. Ma faceva bene Kaczinskij ad esserlo, in un Europa unita dal monetarismo e dall’interesse economico, che perdeva il proprio tempo nella burocratizzazione e nello scrivere leggi sulla stessa misure delle poltroncine degli aerei e sulle razze dei cani, mentre senza vergogna stracciava dalla sua Costituzione e prima ancora dal Trattato di Lisbona le sue radici classiche, cristiane e illuministe. Faceva bene Kackinskj a battere il pugno vedendo ciò che non andava.
Ricordiamolo così Lech Alexsander Kaczinskij: come un grande uomo, come un combattente, un patriota morto per l’onore suo e del proprio Paese e chi è credente lo ricordi stasera nelle sue preghiere.


Di Jakob Panzeri

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