LE VISITE

venerdì 21 giugno 2013

Dalla prima lettera agli uomini





Cari fratelli, vorrei rivolgermi a voi dopo una lunga e sofferta riflessione, che dura da un paio d’anni. Considerate che, essendo io molto giovane, prima dei 18 anni non vi ho mai guardato con qualche interesse particolare perchè ancora siete in piena fase di maturazione e di crescita, amate giocare e scherzare; ma posso affermare che un pregio l’avete senza ombra di dubbio: siete degli ottimi commentatori di eventi sportivi, soprattutto calcistici, perciò se ho imparato a distinguere un calcio di punizione da un fuorigioco, lo devo soprattutto a voi. A quell’età, mi riferisco agli anni dell’adolescenza, non ve ne frega assolutamente nulla dei piccoli drammi quotidiani che infiammano l’anima di molte vostre coetanee, anzi, le considerate, quanto meno, delle strane. Ma dovete sapere che quella stranezza è dovuta a piccoli e grandi drammi di coscienza, a quel vortice interiore che tutto smuove e che suscita molti dubbi esistenziali e che presto, usciti dalla fase dell’ormone impazzito, ne sarete vittima esattamente come le ragazze, anche se con un lieve -mi auguro- ritardo. E’ per questo che bisogna avere l’intelligenza di aspettarvi e di non avere fretta con voi. 
In questa lunga e, spero, obiettiva riflessione sul vostro conto, ho notato delle discrepanze abissali da quello che dite di volere e quello che poi effettivamente scegliete (voi potreste dire lo stesso, ok? Ma lasciatemi continuare). Rimproverate spesso le donne di essere delle eterne indecise, di non sapere mai cosa desiderino effettivamente, ma devo riconoscere che ultimamente anche voi sembrate sperduti, sprovveduti ed incapaci di essere così diretti come certi clichè vorrebbero che voi foste. Di conseguenza, per essere chiari tra di noi, mi tocca precisare che non credo assolutamente in certi schematismi dogmatici sugli atteggiamenti  tipici degli uomini e delle donne. Non è tutto così scontato, categorizzato come certi manuali da quattro soldi vogliono farci credere. Il fattore imprevedibilità colpisce noi ed anche voi in egual misura, perchè la vera e sostanziale differenza è nell’anatomia più che nello spirito. Siamo entrambi soggetti a pregi e difetti che non corrispondono al sesso di appartenenza, quanto alla sensibilità, ai talenti, alle inclinazioni personali. Siamo persone uniche ed irripetibili ed, in quanto tali, non vorrei che si cadesse nella banalità dell’errore di massificare gli atteggiamenti ed i comportamenti. Non agisco in un determinato modo solo in quanto uomo o donna.  Anche perchè, a questo punto, cosa ci sarebbe di complicato nei rapporti tra di noi? In cosa non funzionerebbe la comunicazione? E perchè ancor’oggi certi input creano disorientamento? Non siamo come gli animali. Non agiamo per istinto.  
Quindi, precisato questo, posso muovervi le mie obiezioni:
  1. “la donna mi piace acqua e sapone.” Che cosa magnifica! Che cosa splendida! Meglio di così! W la semplicità. Ma la verità è tutt’altra. Voi, le donne che escono fuori di casa con le occhiaie sotto i piedi, le labbra screpolate e i brufoli intorno alla bocca, le considerate delle “cesse immonde.” Come fanno a piacervi le ragazze acqua e sapone nella realtà se poi, in camera vostra, si trovano calendari con femmine (non donne) con visi conturbanti super truccati? Diciamo la verità: nella semplicità, ci vuole la cura. 
  2. “quella è una poco di buono perchè va con tutti (è stata anche con voi! n.d.r.) chi se la prenderà?” Ma perchè, voi credete di essere migliori di lei andando con altrettante? Se si considera la sessualità nella giusta prospettiva, in realtà, l’errore è perfettamente identico. Si tratta del medesimo uso e consumo del proprio corpo. Si tratta di disporre di sè in modo libero e sregolato. E’ un usarsi a vicenda. Qui non c’è amore, c’è solo la lussuria, il desiderio di sfruttamento al mero scopo di un piacere fine a se stesso. Privo di amore, di riguardo e di rispetto. E’ come se si trattasse di un affare meramente biologico, di bisogni primitivi ed istintuali da soddisfare ad ogni costo. Ma dietro quell’unione fisica si nasconde un tesoro ed un bene più prezioso di cui sia l’uomo che la donna devono saper custodire con rispetto reciproco. E’ come se dicessimo che il tradimento maschile sia più accettabile perchè ad averlo compiuto è stato un uomo che va giustificato (e non perdonato) in quanto tale. Come se vi fosse una differenza ontologica che stabilisca una gerarchia di merito o demerito. Siamo entrambi creature soggette all’errore, alla perdizione, al peccato. Purtroppo, la società di oggi ci bombarda di messaggi di tipo sessuale che mirano al dominio, all’egoismo e all’egocentrismo erotico. Si perde completamente di vista la bellezza della generosità, il senso di appartenenza esclusiva; prediligendo la fugacità, l’ebrezza e l’effimero. Il peccato non ha sesso. Ficcatevelo in testa. 
  3. “le donne portano l’uomo alla perdizione. Ricordate la storiella della mela?” Cioè, io sarei un essere maledetto? Una creatura infida e malvagia a prescindere? Maschietti cari, ne siete proprio sicuri? Io direi che questo giustificazionismo da quattro soldi, potreste tranquillamente riporlo dentro una cassaforte con codice di sicurezza da dimenticare per sempre. Non è la donna che porta l’uomo alla perdizione. Siamo seri. E’ la tentazione (esperienza che ogni essere umano fa sulla propria pelle) che solletica le nostre debolezze e cerca in tutti i modi di attirarci a sè. Anche la tentazione, come il peccato, non ha sesso. E ricordatevi, che la donna non può essere malvagia, infida e meschina a prescindere (stessa cosa dicasi per l’uomo). Vorrei sottolineare che il genere umano, quello femminile in particolare, è da sempre portatore del segno riconoscibile della Bellezza. Nell’armonia del corpo e delle forme vi è il desiderio di Dio di farci a sua immagine e somiglianza. La donna assolve anche ad un ruolo fondamentale, poichè custodisce la vita. Come potremmo essere maledette a prescindere se ogni uomo nasce da una donna? Che senso avrebbe quel Cristo morto in croce se la Salvezza non fosse un dono fatto a tutti e ad ognuno? Gesù sarebbe morto solo per gli uomini, scordando le donne? Non credo proprio...potete sempre riprendere il Vangelo e leggere o rileggere l’episodio della Maddalena, dell’adultera, della samaritana. Gesù è tutt’altro che maschilista. 
Il problema di fondo va oltre le mie obiezioni e riguarda una profonda crisi di coscienza, in cui il relativismo -anche affettivo- colpisce le due creature più belle dell’universo. In cui malcontento, diffidenza, paura, falsità, inganno ed ipocrisia sembrano voler soccombere la genuinità dei rapporti, la sincerità, l’amore gratuito: quello che si dona senza aspettarsi un tornaconto personale. E questo vale per entrambi. Vi è una distorsione della visione dei rapporti che per quanto la società possa essere vuota, liquida e malata, la responsabilità di saper comprendere la realtà è affidata ad ognuno di noi. Le battaglie delle Femen sono assolutamente inutili, stupide, ideologiche, infondate, diffamanti e dissacranti e soprattutto assolutamente incoerenti: vorrebbero combattere la prostituzione, lo sfruttamento della donna a seno nudo? E gli uomini, commettono lo stesso errore affidandosi al maschilismo, alla misoginia, all’anaffettività. C’è una crisi profonda che non può essere semplicemente sottolineata da “atteggiamenti” o “modi di fare” tipici dell’uno o dell’altro. E' chiaro, questo va da sè, che nelle medesime situazioni, si agisce in modo diverso. Siamo belli proprio per questo: nella diversità , la stessa fragilità.
Ci vuole un nuovo ciclo educativo che formi ai sentimenti, che torni ad una giusta considerazione dell’amore e della dignità della persona. Ci vuole un nuovo modo di pensare, di comprendersi. 
Albert Camus ha scritto: «Non camminare davanti a me, potrei seguirti. Non camminare dietro di me, potrei non esserti guida. Cammina al mio fianco, ed insieme troveremo la via.»

VALENTINA RAGAGLIA 

domenica 10 febbraio 2013

Quello che di Mengoni non dicono





Si avvicina Sanremo, un evento che di per sé non credo possa avere una rilevanza assoluta per chi ama la musica, ma è sicuramente una vetrina per conoscere le proposte musicali dell’anno, circondate –come sempre- da un po’ di rumore mediatico fatto di applausi e critiche. Il tam tam  che si genera su blog, riviste, quotidiani (anche on-line) è sempre un flusso infinito di opinioni discordanti ed antitetiche, pronostici bizzarri, opinioni  che hanno più il sapore di sentenze di condanna, alcune di  assoluzioni e accese discussioni tra fans.
Insomma, il successo di Sanremo sembrerebbe decretato più da ciò che sta fuori dal palco che da ciò che vi sta dentro. Ma a questo siamo avvezzi da parecchi anni. Quest’anno, però, qualcosa  almeno all’apparenza sembra essere cambiata. Una leggera variazione di rotta, che farebbe ben sperare per le sorti future del festival.
In che senso? I conduttori Fabio Fazio e Luciana Littizzetto hanno puntato su un Festival più nostrano e meno internazionale e sulla scelta di concorrenti più vicini alla gioventù. Quella rottamazione fallita in politica, quello svecchiamento ritenuto da molti necessario sembra aver trovato una piena risposta nella lista dei cantanti in gara per il titolo che da ben sessantatre anni viene assegnato nella città ligure.  In questa prospettiva ci sembrano chiare le esclusioni di Anna Oxa ed Al Bano e l’ammissione in gara di giovani talenti come Chiara Galiazzo (ancora semi sconosciuta, vista la sua folgorante carriera musicale, che è ancora agli arbori) e soprattutto Marco Mengoni.
Fatta la dovuta premessa per chiarire il quadro d’insieme, mi sembra giunto il momento di puntare al nocciolo della questione. L’ammissione in gara di Marco, mi ha spinto a seguire con più attenzione le pagine musicali e culturali di questo ultimo mese e mezzo in cui i giornalisti si occupano di studiare i preparativi e di prendere volenti o nolenti in considerazione i cantanti in gara. Così, salta fuori dalle pagine delle riviste un bel mix di opinioni all’ascolto dei brani che ancora sono inediti per tutti coloro che stanno fuori dallo status quo privilegiato della stampa. Stampa, che sembra essere ripetitiva, ridondante e anche machiavellica nella descrizione dei pezzi. Ma più che questo, più che interessarmi al parere circa i brani che si basa inevitabilmente sui gusti insindacabili di chi ascolta e poi scrive, ho deciso di prestare attenzione alla considerazione che il critico presta all’artista che ha in cuffia e con cui si deve misurare. Per quanto riguarda Mengoni ne viene fuori un quadro largamente stereotipato, sciatto, piatto e in alcuni casi addirittura vuoto. Accanto al suo nome si legge inevitabilmente “vincitore di xFactor3”. Per quanto il successo nel talent non decreti di per sé un prodotto necessariamente commercializzato e dal sapore standard e per quanto, soprattutto, questo non possa essere detto della voce di Mengoni, l’etichetta che la critica gli lascia  ancora addosso è proprio quella di pupillo di Morgan, incontrastato nella seconda edizione del reality. Come se tutto finisse lì e non cominciasse invece proprio da quel palco in cui ha messo il primo mattoncino per la sua carriera. Il reality non viene visto come un’opportunità, come un modo per poter tirar fuori qualità che si devono comunque aprioristicamente possedere, ma come un marchio d’infamia perché macchia la gavetta che nei mitici anni ’60 e ’70 fecero i nostri più grandi artisti. L’ideologica convinzione che sta alla base di questa affermazione lascia intendere che i grandi vengono fuori grazie alla sapiente intuizione di un produttore discografico e non per merito di un televoto. Vorrei ricordare che artisti come Nek, Pausini e Giorgia sono stati scoperti grazie ai primi, rudimentali ed embrionali esempi di “talent” come Castrocaro o Sanremo Giovani. E’ anche vero che i talent lasciano inevitabilmente un segno di effimero successo, ma lo è solo nei casi in cui oltre un buon pezzo “che tira” non ci sia la stoffa ed il talento che possano sganciare dal panorama nazionalpopolare per essere invece lanciati nel mondo internazionale. Perché di Marco non viene detto che ha fans anche oltre Oceano, pur non avendo fatto neppure una tappa internazionale ed essendosi misurato solo con un rifacimento in spagnolo della sua In un giorno qualunque? Come si spiegano gli ammiratori in Messico, Brasile, USA, Canada? E’ credibile che si dica ancora di lui vincitore di xFactor e basta? Ok ricordare e ricordarsi sempre da dove si viene, ma non bisogna per questo smettere di guardare avanti.
Inoltre, il qualunquismo dilagante e che colpisce inevitabilmente anche la stampa ed i mass media, in generale, sembra attingere informazioni più da rudimentali e dozzinali profili di Wikipedia che dall’ascolto attento e sincero dei dischi. Su blog che non siano gestiti da fans, rarissimamente ho letto qualcosa di forte e concreto sull’ultima fatica di Marco. Mi riferisco all’album Solo 2.0. Chi ha accennato alla rivoluzionaria e geniale ideazione di un fumetto interattivo? Chi, in Italia, ha proposto questo nuovo modo di accompagnare il concept di un disco a delle immagini che racchiudessero un universo simbolico criptico ed intrigante con cui dar corpo ad un liet motiv che sarebbe poi diventato un tutt’uno con il suo breve ma intenso tour per i palazzetti? Possibile che neppure questo riesca a convincere?
E se neppure il talento puro, nudo, semplice e disarmante bastasse, perché non guardare in extremis anche la lunghissima sequela di successi e di premi? Perché non ricordare il Best European Act, che neppure artisti che girano il mondo come Zucchero, Ramazzotti, Vasco Rossi hanno mai ottenuto nella loro carriera? Perché non citare da ultimo, la vittoria del miglior tour del 2012? Perché si ignorano i complimenti Mina, Biondi, Celentano, Zero&Co.? O il premio legato al doppiaggio cinematografico Leggio D’oro, vinto in passato da un mostro sacro come Alberto Sordi? O ancora, perché non ricordare, ammesso che si sappia, che è stato a Casa Azzurri durante le ultime Olimpiadi di Londra per rappresentare l’eccellenza musicale Italiana insieme ad altri grandi artisti? E soprattutto, perché le radio hanno ostacolato e fatto ostruzionismo nei confronti dei tre singoli estratti dalla sua ultima fatica?
Questo e molto altro è tutto quello che di Mengoni non dicono. Non voglio aprire un’inchiesta o farne un caso, ma semplicemente sottolineare come quella stessa critica abbia due facce incoerenti: da un lato condanna e pretende chissà quale impegno culturale (ed anche questo concetto dovrebbe essere approfondito e chiarito), dall’altro sembra ignorare ciò che invece potrebbe essere considerato un buon substrato creativo per una carriera solida e che si spinga oltre i confini italiani. Abbiamo bisogno di più sensibilità e di meno ragione, abbiamo bisogno che le politiche commerciali siano al servizio dell’arte e non il contrario e di fondo, bisognerebbe avere una sincerità gratuita nei confronti del bello e non del conveniente. Non si dovrebbe giudicare in base al “può vendere”, ma al “questo è Bello”. Bisogna trovare una prospettiva che metta d’accordo quantità e qualità non protendendo assolutisticamente per l’una o per l’altra. Bisogna trovare un metro di giudizio che sia giusto e che metta insieme tutti i pezzi che compongono il puzzle, altrimenti avremo sempre una critica monca, zoppa e che soprattutto nei confronti del grande pubblico, lontano dagli aggiornamenti frequenti del web, abbia rispetto e mostri anche ciò che è meno conosciuto per infondere curiosità. Bisognerebbe staccarsi da certi stereotipi e clichè che relativisticamente inquadrano in categorie ben precise. L’Arte per sua natura è libera e questo Marco l’ha capito e lo sa bene ed è proprio nella sua voce che questa percezione viene fuori con naturalezza, una voce camaleontica, mutevole e sfuggente a qualsiasi paragone o confronto e che si libera in tonalità basse e profonde ed in altre quasi irraggiungibili per i comuni mortali, ma entrambe di una forza che abbattono qualsiasi semplicistica critica giornalistica e musicale che lo vorrebbe, a suo giudizio insindacabile, deciso e non indeciso, come se essere alla ricerca per nuove forme musicali fosse una colpa. Ed invece si perde il senso stesso della musica che è proprio quella di stupire per colpire dritto all’anima. Non è la ripetizione meccanica di tecniche canore a rendere grande un artista, ma la sua fresca e vivace creatività che si discosta dal terreno per muoversi sul campo dell’emozione. E’ la varietà dei colori dell’arcobaleno a far grande il cielo. Ogni tanto bisognerebbe ricordarselo.
In conclusione, dunque, con quali antidoti guardare questo Festival di Sanremo ormai alle porte?
Mi permetto di dare qualche piccola indicazione. Innanzitutto, leggete poco i giornali, seguite le interviste solo per ascoltare il parere dei cantanti che v’interessano e lasciate da parte ogni spunto polemico sterile, spesso è l’arma con cui si fanno riconoscere i giornalisti mediocri. Poi, concentratevi sulle canzoni, sui testi (leggeteli tante volte e provate a dar loro un significato tutto vostro, attinente con la vostra realtà emozionale). Non affidatevi ai pareri degli altri. In una parola: siate indipendenti. Date alla critica il giusto peso. Sono esseri umani, hanno dei gusti, delle preferenze che influiscono sulle decisioni, per cui non affidatevi alle speculazioni ma alla vostra intelligenza musicale. Ricordatevi che il successo di un brano o di un disco dipende da chi ne usufruisce, perciò restate indifferenti agli stereotipi di chi non ha la vostra preparazione in merito alla carriera artistica dei cantanti di cui siete fan (si veda più su cosa ho detto in merito al qualunquismo). Ed infine: emozionatevi. Abbassate il volume durante gli scketch politici, le battute comiche o altro. Entrate nella dimensione della musica. Provate a seguire l’orchestra con il cuore, assaporate la bellezza di una voce che canta dal vivo e che comunque vuole lanciare un messaggio. Sentitevi liberi di dissentire, di dire la vostra, sempre.
Detto questo, auguro a tutti una bella settimana sanremese piena di dense ed intense emozioni, partecipate attivamente, gareggiate dando supporto; in attesa che Marco Mengoni risorga dalle ceneri del’Inferno per lasciarsi invadere da una luce che sarà anche nostra. Un nuovo inizio per tutti. Prepariamoci al meglio per il ritorno del Re.

VALENNTINA RAGAGLIA

domenica 20 gennaio 2013

Audrey Hepburn: un'anima gentile




20 gennaio 1993-20 gennaio 2013. Sono trascorsi esattamente vent’anni dalla scomparsa di Audrey Hepburn. Un anniversario carico di ricordi. La biografia di questa grande attrice è costellata di premi e di successi, ma ciò che rende Audrey speciale, non è solo il numero quantitativo del suo curriculum, è soprattutto quel suo essere intimamente donna di classe. La classe non è acqua. Frase stereotipata che però calza a pennello per descrivere ciò che più di ogni cosa caratterizza la figura positiva della Hepburn, vera icona per il gentil sesso con buon gusto. 
Considerata tra le tre attrici più grandi di tutti i tempi, Audrey Hepburn si affaccia timidamente sul grande schermo (dopo aver girato vari documentari ed aver ottenuto successo a Broadway), con un provino per Vacanze Romane che le vale il ruolo di protagonista come Principessa Anna. La scelta del regista (che decise di scartare Liz Taylor!), verte principalmente sul fatto che davanti la cinepresa, la giovane fanciulla, avesse dimostrato naturalezza, purezza ed innocenza.
Lineamenti sottili e delicati, corpo snello ed armonioso, modellato grazie agli anni di danza classica  e occhi grandi da cerbiatto assolutamente irresistibili, sono i tratti distintivi della giovane attrice.
E gli occhi non tradiscono, gli occhi non mentono e lo spettatore attento, arguto e sensibile, nota tutto questo nelle pellicole in cui Audrey appare con leggerezza e delicatezza. 
Traspare un’aurea di gentilezza che Dante non avrebbe avuto dubbi a riconoscere. 
Mi sembra che descrivere la carriera artistica sia in questa sede poco opportuno, perchè è difficile non conoscere film come Sabrina, My fair Lady e sopra ogni altro Colazione da Tiffany, ma qualche commento desidero farlo per arricchire di impressioni contemporanee quello che fa già parte della classicità; perchè essere icona, vuol dire proporre un modello che in qualsiasi tempo è indiscutibilmente attuale.
Se molti romanzetti rosa richiamano nel titolo la più famosa gioielleria del mondo, vuol dire che Tiffany, non è più solo una gioielleria, ma qualcosa di diverso e senza Holly Golightly davanti la vetrina con in mano un caffè ed un cornetto alle prime luci del mattino, pochi riconoscerebbero in Tiffany un simbolo, o meglio, un’autorità. 
Si ricordi che la nota casa di moda Givenchy, sarebbe assolutamente sconosciuta ancor’oggi se Audrey non avesse fatto del tubino nero un vero e proprio capolavoro, cioè un abito che può essere inteso tale solo se ci si aggancia al suo significato originario derivante dal latino habitus: cioè modo di essere.
Attrice eclettica, spontanea, adatta alla recitazione cinematografica di spessore che si discosta da quella prettamente teatrale senza perdere di espressività incisiva; madre infaticabile e donna generosa che decise di mettere da parte la carriera, sacrificandola, per essere testimone UNICEF tra i bambini più poveri e bisognosi.
Ma che cosa, rende davvero bella e gentile l’anima di Audrey?
In primis l’eleganza sobria. Non c’è bisogno di sponsorizzare il tacco 12 o combattere una guerra contro le mutande ascellari per essere belle. In molti films e servizi fotografici, l’attrice indossa ballerine e la sua bellezza non viene intaccata di una virgola, perchè quando si è belli dentro, lo si è anche fuori indipendentemente da cosa s’indossi e poi Audrey non mi sembra il tipo da piume di struzzo e giarrettiere da burlesque che fanno un po’ cafona.
In secondo luogo, ammiro il fatto che anche in età avanzata, nonostante la giovinezza fosse sfiorita, conservasse ancora lo stesso sorriso acceso che cancellava via le rughe dal suo volto, illuminandolo di una luce e di una gioia che spalanca il cuore. Una bellezza profonda. 
E‘ importante, a mio avviso, sottolineare questo aspetto in un mondo contraffatto e gonfiato dal botulino e dal silicone. Un mondo corrotto che ha perso di vista il piacere di invecchiare e di accettare che il tempo passa. Un mondo che si annichilisce su stereotipi utopistici e mitizzazioni come quello dell’ “eterna giovinezza”. 
Impariamo da Audrey. Impariamo ad essere semplici e spontanee. Impariamo ad amare noi stesse, ad essere garbate, eleganti nei modi e nell’animo, senza scordare che: “qualche volta è bello essere presa per una balorda.” (Holly in Colazione da Tiffany) 

VALENTINA RAGAGLIA



mercoledì 31 ottobre 2012

Apokolokyntosis Catholica?



Il blog Symposium Somnium Scipionis è lieto di poter pubblicare un nuovo articolo che porta la firma di Alessandra Spanò che recentemente ha già collaborato con successo con noi.
Visto il bis concessoci, ne approfittiamo per presentare meglio la nostra autrice freelance.
Alessandra Spanò è cattolica, siciliana, laureata in Filosofia presso l'Università degli Studi di Catania, sposata, madre di 5 figlie, docente di filosofia e storia presso il liceo classico della sua città, ha partecipato attivamente alla fondazione del più grande portale cattolico in rete (www.totustuus.it). Amante dell'arte, della fotografia e di storia della moda, fin dall'adolescenza è stata appassionata lettrice, per piacere e per dovere, di saggistica storica e di biografie scientifiche.


In prossimità del 31 ottobre, nel mondo cattolico 2.0, cioè quello che frequenta a fini di apologetica e di evangelizzazione i social-network, i blog e ogni possibile piazza virtuale, tiene banco il tema legato alla ricorrenza di Halloween. Fin qui nulla di nuovo, ma il fatto a mio avviso rilevante è che - cosa insolita - ultimamente non tutti gli approcci al tema sono in chiave del tutto negativa. Infatti, usualmente, scorrendo le più note pubblicazioni cartacee o virtuali riconducibili alle più diverse realtà dell’universo cattolico, a seguito dei pareri espressi da studiosi, prelati, parroci, carismatici ed esorcisti, i giudizi e le conseguenti raccomandazioni erano concordi nell’ammonire i fedeli a tenersi il più possibile alla larga da ogni contaminazione con un evento sentito soprattutto estraneo e pericoloso. Invece ultimamente, da più parti, si tenta di "sdrammatizzare" la questione Halloween, riducendolo ad una festicciola sostanzialmente innocua, diversa, “alternativa”, utile per far passare qualche ora di svago insolito ai propri figli.
In questa direzione, al seguito di studi che ripercorrono le origini di questa ricorrenza, si sono mossi coloro che non vedono in Halloween altro che la riproposizione postmoderna di antichi riti cattolici, che si sono innestati su pratiche cultuali pre-romane, di derivazione celtica, che si perdono nella notte dei tempi.
A rinforzo di questa tesi, gli stessi ricordano poi il bisogno fisiologico proprio dell’essere umano di festeggiare, di staccarsi a cadenze regolari dalla monotonia del quotidiano in un modo non molto dissimile da quanto avvenga nel più consueto Carnevale.
E ci sono poi gli esagitati di turno, le frange-cattoliche-lunatiche, che decidono che Halloween non è solo cosa “buona e giusta”, ma sarebbe addirittura l’unico “evento innocente in Europa” e si lanciano in roboanti scomuniche contro tutti quei mentecatti bigotti e mentalmente tarati che accusano Halloween di essere la testa di ponte dell’inferno in Occidente.
A me sembra, da cattolica, che tutti questi tentativi di giustificare o comprendere le ragioni di questo evento, detto molto francamente, siano soprattutto un tentativo di cedere ad una moda che è sempre più pervasiva anche in Italia. Capisco che gli urlatori cattolici anti-Halloween ad alcuni possano dare sui nervi, ma neppure gli urlatori cattolici pro-Halloween danno un’immagine migliore, visto che un eccesso non si combatte con un eccesso uguale e contrario. Bisognerebbe ragionare con un minimo di pacatezza mettendo i piedi per terra e guardando le cose per come sono, cioè limitarsi ai dati di realtà.
Mi sono resa conto che ad alcuni miei fratelli nella fede, Halloween, tutto sommato, piace e quindi cercano, magari affannosamente, di trovare in qualche modo la quadra fra le proprie inclinazioni, la propria fede, e il mondo. Tutto ciò si potrebbe configurare semplicemente come un cedimento alle mode, per sé e per i propri figli, quasi che non far loro partecipare a feste, raduni e pellegrinaggi serali, sia farli sentire "diversi". Ora, è innegabile che essere cristiani significa essere "diversi", ed è altrettanto innegabile che in questi giorni il cattolico non dovrebbe restare di certo con le mani in mano e l’anima in modalità “risparmio energetico”, ma si dovrebbe preparare ad Ognissanti e alla Commemorazione dei defunti, cioè ad entrare in un contatto vivo ed autentico con le realtà ultime e definitive, quelle che toccano inevitabilmente il senso globale della nostra esistenza di battezzati.

Ognissanti e Giorno dei Morti sono un'occasione imperdibile di meditazione, preghiera, lode al Signore, esame interiore della nostra esistenza, occasione di evangelizzazione con l'esempio e la testimonianza di fede. Descrivere ai bambini, che sono così ricettivi, la “moltitudine immensa che nessuno può contare, di ogni nazione e tribù e popolo”, così come ce ne parla l’Apocalisse, “segnati in fronte” e “avvolti in vesti candide”, e far loro percepire tutta la bellezza, la grandiosità, la gioia senza fine a cui anche tutti noi siamo chiamati non solo non è difficile, ma è anche di grande conforto e di vivo incoraggiamento per gli stessi educatori alla fede. Se davvero crediamo e speriamo di appartenere “alla stirpe eletta che cerca il volto di Dio”, come recita il salmista, non so davvero come un cattolico possa trovare il tempo (e la voglia) di cucire o comprare abitini da scheletri o streghette, usare le zucche non per il risotto, ma per mascheroni ghignanti, e andare magari insieme ai figli a importunare il prossimo con scherzetti che richiamano molto dei malefici in miniatura o, se ad alcuno pare più rassicurante e consolante, dei più “normali” e diretti ricatti. Quei genitori cattolicissimi che si pongono il problema della presunta "discriminazione" dei loro pargoli davanti alle mode, dovrebbero dunque già loro iniziare a rivedere un po' la propria formazione catechetica.
Non per nulla, sempre a proposito dei nostri figli, su cui si appuntano le ansie dei genitori cattolici smaniosi di risolvere la pericolosa conciliazione fra fede e moda, va ricordato la saggia considerazione espressa qualche anno fa dal Cardinale Caffarra: “Halloween rende più difficile, specie nei bambini, vivere un rapporto sereno con la morte”; tutto il contrario di quanto avviene vivendo con pienezza Ognissanti e la Commemorazione dei Defunti.
E anche il Cardinale Bertone è stato netto, in proposito. “Magari non si portano i bambini al cimitero per preservali anche solo dall'idea della morte e poi li si fa travestire da streghe, scheletri e fantasmi: mi pare una contraddizione (...). Quella del caro ricordo dei defunti è una tradizione che deve essere insegnata ai bambini e ai giovani del nostro tempo. Vorrei che i genitori, i parenti e le famiglie usassero lo stesso dispendio di energie, tempo e soldi dedicato a un evento insensato come quello di Halloween per educare ai valori veri, come quelli della comunione dei santi e dei defunti”.
Insomma, basta tenere accesa la lampada della fede, come ogni giorno, per tenere lontano da noi qualunque attrazione fatale nei confronti di Halloween. E non è peregrino domandarsi che bisogno hanno i cattolici, la vigilia di Ognissanti, in Italia, di conformarsi al mondo, di scendere a patti con esso. Io non trovo nulla di assimilabile ai riti cattolici in un evento che commemora il ritorno delle anime dei morti per prendere possesso dei corpi dei vivi, che cercano a loro volta di esorcizzarli travestendosi da zombies, teschi, uomini-zucca e streghe.
A coloro che battono il tasto dell’origine cattolica di Halloween, bisognerebbe ricordare che ciò che oggi è non può essere ignorato a causa della sua genesi storica. Affermare il contrario, significherebbe cadere in una forma di fallacia genetica. Occorre ricordare, peraltro, che la Chiesa, nella sua consueta opera di inculturazione, già nell’Alto Medioevo spostò la festa di Ognissanti da maggio al 1° novembre proprio per vincere del tutto i residui pagani di quegli stessi culti celtici.
Ma cos'è, dunque, oggi Halloween? Neopaganesimo sfacciato, consumismo sfrenato, esibito compiacimento di una visione orrorifica della morte, discesa nell'occulto (e anche, per molti, nell'occultismo), sudditanza "psico-dollaresca" verso il peggio che possa provenire da oltreoceano.
Ci ricorda, a proposito, Vittorio Messori: “Non ci dimentichiamo che il protestantesimo, non avendo la dottrina del purgatorio, non riconosce il culto dei morti: pregare per loro non serve, il loro destino, paradiso o inferno, è segnato. E così, in un ambiente di protestantesimo radicale come gli Usa, si è trattato di colmare una lacuna gettandola in burla. Perché a novembre muore la natura, si tratta di esorcizzare la morte, addomesticarla, e pensare alla propria”.
Lo storico Franco Cardini, è chiarissimo: “Halloween è un ritorno ateizzato e in prospettiva demonizzato a consuetudini pagane che il cristianesimo aveva non solo vinto, ma anche già accolto per quel che esse avevano di positivo. Halloween è un aspetto in apparenza ridicolo, in realtà tragico, dell'apostasia anticattolica dei giorni nostri. Impariamo a decodificarlo per capire quanto sia necessario combatterlo”.
La controcultura di Halloween, avendo perso del tutto la sua “giustificazione cristiana”, non solo non appartiene al nostro folklore locale, ma, a parte l'estraneità culturale, è una "festa" in cui non si celebra né il Bello, né il Bene, né il Vero, non è via pulchritudinis neppure per sbaglio. Inoltre, com’è noto, non è infondato il timore che pratiche sataniche o similari vengano compiute in questa occasione. Infatti Halloween è un mezzo privilegiato attraverso cui l’occultismo cerca nuovi estimatori, grazie alle apposite serate danzanti condite con tarocchi, vaticini e cartomanti. Si sa che il mondo dell’occulto fa girare una quantità incredibile di denaro, ma per il solito catto-bastian-contrario neppure questo aspetto dell’evento è da disprezzare perché fa girare l’economia in tempi di crisi e quei “poveretti” dei gestori delle discoteche devono pur campare, anche se grazie a sex-drug-rock-and-roll e... malefici. Halloween è anche e soprattutto un evento per tutti quegli adulti “sazi e disperati” in vena di trasgressioni sempre diverse, ma magari con un tema di fondo preferito: l’odio per la fede; molti costumi per persone grandi sono dissacranti verso la religione. Ce ne è abbastanza, insomma, per non incoraggiare nei nostri figli (e quindi in primis in noi stessi) alcun cedimento alle mode e al mondo (in senso evangelico).
Che in queste ultime ore che ci separano da quella straordinaria festa che è Ognissanti, ogni credente in Cristo possa ripensare e fare proprie le luminose parole di S. Teresa d’Avila, Dottore della Chiesa Universale: “O anime che già godete senza alcun timore della vostra gioia e, assorte in essa, vi beate continuamente delle lodi del mio Dio! Com’è felice la vostra sorte! (...) O beate anime del cielo! Soccorrete la nostra miseria e intercedete per noi presso la divina misericordia, affinché ci dia un po’ della vostra gioia e ci renda partecipi di questa chiara visione di cui ora godete. (...) Anime amanti, otteneteci di comprendere la felicità che vi inonda al pensiero che il vostro gaudio sarà eterno e quanto sia piena la gioia di cui vi riempie la certezza che il vostro stato non avrà mai fine. (...) O anime fortunate che avete così bene saputo approfittarne, e comprare, servendovi di questo prezioso tesoro, un’eternità tanto gioiosa e duratura, diteci: come avete fatto ad acquistare per mezzo suo un tale eterno bene? Soccorreteci voi che siete già vicine alla fonte: attingete acqua per noi che qui moriamo di sete!”
[S. Teresa di Gesù, Esclamazioni, 13, 1-4].
Felice Festa di Ognissanti a tutti i lettori e le lettrici di questo blog!



ALESSANDRA SPANO'

venerdì 19 ottobre 2012

Recensione - Costanza Miriano, Sposati e sii sottomessa, Firenze, Vallecchi, 2011.

A quasi un anno di distanza, essendo l'argomento sempre attuale e rilevante, il blog decide di proporre una recensione del libro di Costanza Miriano "Sposati e sii sottomessa". La validità degli argomenti esposti, basati sulla voce autorevole del Magistero della Chiesa, fanno di questa recensione un'ottima chiave di lettura e una guida sicura per comprendere efficacemente il messaggio del libro in tutte le sue sfumature.

                                                              ***

Il 2011 sta per chiudersi e nel mondo cattolico, anzi kattolico, al femminile quest’anno potrebbe essere intitolato l’anno di Costanza Miriano. Se qualche rivista o periodico nostrano avesse la stessa abitudine del periodico statunitense Time, a qualcuno verrebbe senza dubbio l’idea di indicarla come “personaggio dell’anno”, perché in effetti il suo primo libro di rumore ne ha prodotto parecchio nella cerchia dei cattolici senza se e senza ma; ha ricevuto lodi entusiastiche, osanna, standing ovation a ripetizione; ci sono certi gruppi in cui, magari, posso immaginare che si faccia la ola al solo pronunciare il suo nome. Insomma, un fenomeno. Ci sono altri, al di fuori del mondo cattolico (ma anche al suo interno) che al solo sentire il titolo dell’opera prima della giornalista, si fanno prendere dalla nausea e iniziano a lanciare anatemi alla cieca o, più moderatamente, vengono colti da una perplessità colma di sconcerto per cui preferiscono respingere con un educato “no grazie” persino l’idea di aprire il pericoloso libretto. Nel contempo però, si lanciano in critiche più o meno accese di un libro mai letto in base all’istinto emozionale che il titolo ha prodotto nella loro mente.

In ogni caso, il rumore è stato tanto e all’uscita del libro sono seguiti interviste, incontri, convegni e tutto quanto fa spettacolo (come diceva un vecchio slogan di una trasmissione televisiva di qualche anno fa) per incoraggiare, diffondere, pubblicizzare il libro in questione. Si è “scomodata” la migliore intelligencija cattolica D.O.C. di persona o su carta stampata, con una compattezza che desta ammirazione per chi, specialmente da cattolico, guarda e segue da vicino le vicende culturali del cattolicesimo italiano contemporaneo.
Il titolo è molto particolare, è destinato a creare tifoserie che arrivano magari persino ad armarsi di gadgets; in ogni caso si fa notare e, probabilmente, è servito a incrementare le vendite dello stesso libro.

Essendo sposata da quasi 22 anni, essendo madre di cinque figlie, cattolica, per indole e formazione molto sensibile ai temi della vita e della famiglia, all’uscita del libro mi sono chiesta se valesse la pena spendere più di dodici euro per acquistarlo. Mi è stato garantito da più parti che il titolo era fuorviante, che non dovevo cadere nella trappola di chi non ne capiva gli intenti, che dovevo leggerlo perché mi avrebbe convinta da cima a fondo. L’ho comprato e l’ho letto la prima volta nel giro di una notte. Poi l’ho riletto altre due volte per essere davvero sicura di averlo capito nel profondo e in tutti i suoi aspetti. Sono abituata a non lanciare, per quanto possibile, giudizi avventati e ci tengo a esprimere il mio parere solo dopo aver ben chiaro in testa di cosa si parla. Devo premettere tutto questo perché altrimenti molti non capirebbero lo spirito di assoluta buona fede degli interventi estemporanei che mi è capitato di buttare qua e là nella bacheca di una mia amica e che qualche giorno fa hanno scatenato una delle più disordinate e incomprensibili discussioni a cui mi è capitato di partecipare su Facebook. Comunque, ho capito che questo libro è, in un certo senso, dinamite e che accennare ad un dissenso per alcuni è come sparare sulla Croce Rossa.

Siccome io mi sento intellettualmente onesta e dotata di quella libertà dei figli di Dio che mi dà il permesso di esprimere con motivazioni ragionevoli e circostanziate il mio pensiero, ho deciso di dare forma ad una recensione, per illustrare quali sono, secondo me, i punti di forza e quelli di debolezza di questo libro.

I punti forza risiedono a mio avviso, innanzitutto, nel fatto che questo libro vuole essere, in tempi tempestosi e spaventosi come questi che stiamo vivendo, uno sponsor forte e deciso del matrimonio cattolico, una voce alta e fedele alla cultura della vita, una denuncia senza ambiguità della scarsa considerazione che il mondo del lavoro riserva alla donna madre. Ho trovato bellissima la lettera indirizzata alle due bimbe più piccole dell’autrice e quelle dirette alle amiche in cui si celebrano le croci e le delizie della maternità. In certi passi mi sono commossa fino alle lacrime.
Ma esistono, in questo libro, dei punti di debolezza che, sempre a mio avviso lo rendono problematico. Innanzitutto la pretesa universalistica, che si evince da molti passaggi, della “ricetta” che la Miriano propone alle donne cattoliche. Non si tratterebbe di descrivere, quindi, uno spaccato della vita di una singola coppia ma più forse di fornire la formula universale per vedere finalmente i matrimoni durare e poggiare su solide basi.

1) “Basta con le femmine alfa e i maschi omega. Dovrai imparare a mollare le redini (...). Non potrai dirigere tutto (...) dovrai far fare a tuo marito” (p. 38).  Sembra un vero e proprio imperativo categorico.
“Il segreto [di un matrimonio santo e felice] è che le donne di fronte all’uomo che hanno scelto facciano un passo indietro (...). Bisogna competere al contrario (...). E bisogna farlo anche quando non se ne capisce il motivo, quando si è intimamente convinte di avere ragione” (pp. 111-2).
Altra affermazione che appare al lettore priva di qualunque sfumatura. Per altro, l’enciclica Casti Connubi (1930) di papa Pio XI, specifica che la sottomissione della donna al marito ha uno scopo ben preciso, cioè “vieta quella licenza esagerata che non cura il bene della famiglia, vieta che nel corpo di questa famiglia sia separato il cuore dal capo”.  E non è affatto vero che è sempre valido l’asserto: “Nel dubbio, comunque, obbedisci” (p.118). Infatti al punto 29 della stessa enciclica si legge: “Quanto poi al grado ed al modo di questa soggezione della moglie al marito, essa può essere varia secondo la varietà delle persone, dei luoghi e dei tempi; anzi, se l'uomo viene meno al suo dovere, tocca alla moglie supplire nella direzione della famiglia. Ma in nessun tempo e luogo è lecito sovvertire o ledere la struttura essenziale della famiglia stessa e la sua legge fermamente stabilita da Dio”.
Questa struttura è quella descritta dalla Genesi. "Sono ad un tempo uguali in quanto persone e complementari in quanto maschio e femmina", così la descrive il Catechismo della Chiesa Cattolica (372). Quindi, aggiunge: "I membri [della famiglia] sono persone uguali in dignità. Per il bene comune dei suoi membri e della società, la famiglia comporta una diversità di responsabilità, di diritti e di doveri" (ivi, 2203).

2) In secondo luogo, le maggiori perplessità su questo volumetto vanno rintracciate, secondo me, nell'accezione marcatamente sbilanciata che si dà al termine sottomissione, che per altro l’autrice collega solo ed esclusivamente alla parte femminile della coppia. Il marito, per quello che si evince da una lettura attenta e ponderata del libro, più che il ruolo di primus inter pares, ha quello di dominus o di dux.

3) In terzo luogo, non è dimostrato da nessuna parte che la via della sottomissione femminile unilaterale, condotta senza cedimenti sia la modalità unica e perfetta per risolvere ogni problema (o la maggior parte) all’interno di tutte le coppie dell’universo mondo.
“La donna compiuta ama per prima (...). Con la sua sottomissione costruisce il padre perché lo mette sopra di sé, gli dà autorità. Si fida perché sa chi è e non ha paura di perdersi lasciando vincere un altro, anzi l’altro” (p. 68).
Io ho letto che “Questa comunione coniugale affonda le sue radici nella naturale complementarietà fra l’uomo e la donna e si alimenta mediante la volontà personale di condividere l’intero progetto di vita, di ciò che hanno e di ciò che sono: perciò tale comunione è il frutto e il segno di un’esigenza profondamente umana” (Familiaris Consortio, 17).
La scoperta e l’obbedienza al disegno di Dio devono farsi insieme dalla comunità coniugale e familiare, attraverso la stessa esperienza umana dell’amore vissuto nello Spirito di Cristo fra gli sposi, fra i genitori e i figli” (Familiaris Consortio, 51).
La coppia di sposi forma una comunione, fondata antropologicamente sulla pari dignità fra uomo e donna stabilita all’atto della Creazione, in cui *ognuno* si riconosce e si completa nell’altro, l’uomo nella donna e la donna nell’uomo e non è detto da nessuna parte che il padre si costruisce perché la moglie se lo porta sulle spalle, altrimenti non esisterebbe neppure. Non è la donna a dare identità all’uomo (o viceversa). L’identità è data da Dio che ha voluto l’uomo completarsi a vicenda nell’essere maschio e nell’essere femmina. L’uomo e la donna, specchiandosi l’uno nell’altra, riconoscono questa reciproca identità, ma non la creano.

4) “Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà, dice la Genesi. (...) Quando una donna si mette al di sotto non per essere schiacciata ma per accogliere, indica la strada anche all’uomo e a tutta la famiglia. La donna precede l’uomo, che ha bisogno di essere accolto” (p. 129).
Il beato Giovanni Paolo II scrive: “Questa affermazione di Genesi 3, 16 è di una grande, significativa portata. Essa implica un riferimento alla reciproca relazione dell'uomo e della donna nel matrimonio. Si tratta del desiderio nato nel clima dell'amore sponsale, che fa sì che «il dono sincero di sé» da parte della donna trovi risposta e completamento in un analogo «dono» da parte del marito. Solamente in base a questo principio tutt'e due, e in particolare la donna, possono «ritrovarsi» come vera «unità dei due» secondo la dignità della persona. L'unione matrimoniale esige il rispetto e il perfezionamento della vera soggettività personale di tutti e due. La donna non può diventare «oggetto» di «dominio» e di «possesso» maschile” (Mulieris Dignitatem, 10).
E ancora: “«Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà». Il superamento di questa cattiva eredità è, di generazione in generazione, compito di ogni uomo, sia donna che uomo. Infatti, in tutti i casi nei quali l'uomo è responsabile di quanto offende la dignità personale e la vocazione della donna, egli agisce contro la propria dignità personale e la propria vocazione” (ibidem).
La Sposa (...) è colei che riceve l’amore per amare a sua volta” (ivi, 29).

5) “Sposati e sii sottomessa”? Nel titolo è racchiuso tutto il libro. Il titolo non è meramente provocatorio, ma compendia in modo semplice, netto e inequivocabile l’ethos che la Miriano assegna all’essenza del matrimonio cristiano, senza equivoci. Tutto il suo ragionamento pare fondarsi sulla lettura di quanto S. Paolo afferma nella Lettera agli Efesini, ma Giovanni Paolo II insegna che:
L'autore della Lettera agli Efesini non vede alcuna contraddizione tra un'esortazione così formulata [«Voi, mariti, amate le vostre mogli»] e la constatazione che «le mogli siano sottomesse ai loro mariti come al Signore; il marito, infatti, è capo della moglie» (5, 22-23). L'autore sa che questa impostazione, tanto profondamente radicata nel costume e nella tradizione religiosa del tempo, deve essere intesa e attuata in un modo nuovo: come una «sottomissione reciproca nel timore di Cristo» (cf. Ef 5, 21); tanto più che il marito è detto «capo» della moglie come Cristo è capo della Chiesa, e lo è al fine di dare «se stesso per lei» (Ef 5, 25) e dare se stesso per lei è dare perfino la propria vita. Ma, mentre nella relazione Cristo-Chiesa la sottomissione è solo della Chiesa, nella relazione marito-moglie la «sottomissione» non è unilaterale, bensì reciproca! (Mulieris dignitatem, 24).
Quindi coloro che vedono nel legame matrimoniale un riflesso obbligato, per analogia, del rapporto Cristo-Chiesa, per cui seguendo tale modello, la donna è sottomessa all'uomo, devono riflettere seriamente sul fatto che qui il beato Giovanni Paolo II spiega che non è così.

Il concetto è espresso in modo ancor più pregnante da papa Wojtyla nel corso dell'Udienza generale dell'11 agosto 1982, quando afferma: "L’amore esclude ogni genere di sottomissione, per cui la moglie diverrebbe serva o schiava del marito, oggetto di sottomissione unilaterale. L’amore fa sì che contemporaneamente anche il marito è sottomesso alla moglie, e sottomesso in questo al Signore stesso, così come la moglie al marito. La comunità o unità che essi debbono costituire a motivo del matrimonio, si realizza attraverso una reciproca donazione, che è anche una sottomissione vicendevole".
Nella stessa occasione, il Pontefice spiega: "Tale rapporto, tuttavia, non è sottomissione unilaterale. Il matrimonio, secondo la dottrina della lettera agli Efesini, esclude quella componente del patto che gravava e, a volte, non cessa di gravare su questa istituzione. Il marito e la moglie sono infatti «sottomessi gli uni agli altri», sono vicendevolmente subordinati. La fonte di questa reciproca sottomissione sta nella «pietas» cristiana, e la sua espressione è l'amore" (ibidem).

La donna non può arrogarsi il diritto di dichiararsi il fondamento unico ed esclusivo del matrimonio; è invece la reciproca sottomissione dei coniugi nel timore e nell’amore di Cristo che costituisce il fondamento granitico, cementato dalla grazia effusa dal sacramento nuziale, della famiglia. I figli, dal canto loro, devono obbedire ed essere sottomessi ad entrambi i genitori.
La comunione coniugale costituisce il fondamento sul quale si viene edificando la più ampia comunione della famiglia (...). Tutti i membri (...) ognuno secondo il proprio dono, hanno la grazia e la responsabilità di costruire giorno per giorno la comunione delle persone” (Familiaris Consortio, 21).
Il padre sarebbe “l’autorità suprema” (p. 169)? No, entrambi i genitori: “I genitori eserciteranno la loro irrinunciabile autorità” (Familiaris Consortio, 21). Non è solo il padre a "incarnare la regola" davanti ai figli (con le madri che non vengono neppure prese in considerazione quando danno un ordine), ma sono in genitori ad incarnare le regole e che devono esigere la giusta obbedienza. Senza trascurare il fatto che danneggia la famiglia sia il padre assente, sia il padre oppressivo.
In questo libro, la donna - astrattamente e quindi ideologicamente intesa - è l'elemento da cui dipende tutto. E proprio quell'autosufficienza che si vorrebbe definitivamente scaraventare fuori dalla porta, la si fa rientrare, sotto travestimento, dalla finestra. Nessuno basta a se stesso, soprattutto nella concreta realtà della comunione sponsale. Se uno non fa da supporto all'altra, in una vera gara d'amore, di aiuto, di sostegno reciproco, come gli scalatori in cordata, si finirà prima o poi nell'abisso.
"La donna e l'uomo non riflettono un'uguaglianza statica. E omologante, ma nemmeno una differenza abissale e inesorabilmente conflittuale: il loro rapporto più naturale, rispondente al disegno di Dio, è l'unità a due, ossia una unidualità relazionale, che consente a ciascuno di sentire il rapporto interpersonale e reciproco come un dono arricchente e responsabilizzante" (Giovanni Paolo II, Lettera alle Donne, 8).
La Miriano invita le donne ad accettare con libera scelta consapevole quello che le nostre nonne erano costrette a subire. Ma se dietro quel mondo di dominio maschile, spesso duro, in cui la dignità della donna come persona poteva anche non essere presa in considerazione, c'era qualcosa di sbagliato, lo stesso non cambia solo per il fatto che venga accettato liberamente. Se una cosa è sbagliata resta tale, sia sotto costrizione, sia per scelta.


Il magistero ordinario, nel suo sviluppo, è l’unico possibile e legittimo esegeta scritturale per un cattolico e va considerato nella sua interezza, non per sezioni. Non ci si può fermare nel punto che piace di più escludendo il resto. Quindi, il magistero attuale sull’argomento, pur non mai negando, ma sempre comprendendo naturaliter quello precedente, permette al Popolo di Dio di avere una sempre più perfetta guida nel cammino di santità. Il pensiero della Chiesa, insomma, si perfeziona sempre più sotto la guida dello Spirito Santo. Esso ci porta via via ad “un’intelligenza migliore nelle esigenze morali del mondo della persona”, come giustamente ha precisato nel 1974 la Pontificia Commissione Teologica internazionale, citando ad exemplum proprio il brano della Lettera agli Efesini.
La comunione sponsale è una comunione duale di persone dinamicamente relazionantesi in una sinergia di uguaglianza e diversità. Il ruolo degli sposi è quello della sottomissione reciproca in Cristo, contribuendo ciascuno con i propri talenti, i propri carismi, il proprio essere intero all’edificazione della Chiesa domestica, in spirito di santificazione reciproca e di dono di sé totale e irreversibile, apportando così un fondamentale contributo alla santificazione della famiglia nel suo complesso e poi dell’intera società, per ricapitolare in Dio tutte le cose. In tale contesto, si può vedere che il ruolo del marito non può essere più di quello di un primus inter pares.
In conclusione, a mio avviso, il libro di Costanza Miriano, pur complessivamente positivo, contiene dei notevoli sbilanciamenti nella valutazione del significato del concetto di sottomissione, quasi che la valutazione dell’autrice si fosse fermata solo ad un certo punto dell’insegnamento magisteriale, facendone prevalere una parte e trascurandone un’altra, creando, in parole semplici, una incrinatura in quell’unica ermeneutica della continuità che è l’unico modo in cui è lecito guardare ciò che viene pronunciato a vario titolo dalla Cattedra di Pietro.
Pertanto, io lo ritengo un libro di nicchia, un testo per molti, ma non per tutti, in quanto lo sbilanciamento di cui ho parlato, potrebbe scandalizzare i lontani o i cattolici poco preparati o un po’ confusi. E anche nei cattolici preparati, attenti e obbedienti al magistero, la lettura del libro è da consigliare cum grano salis, proprio a causa di una lettura forse parziale e imprecisa del magistero ecclesiastico. Bisogna considerare, infine, che quello che propone l’autrice è innanzitutto la sua esperienza di moglie e non è lecito affermare apoditticamente in nessuna maniera che occorre rispecchiarsi per forza in essa come unico modo possibile per affrontare il matrimonio. Non si tratta di una guida infallibile ed unica. Non è la mappa del tesoro, perché quello che può andar bene per la famiglia di Costanza Miriano potrà poco adattarsi ad altri. In questo libro ci si può legittimamente ritrovare, come anche no, altrettanto legittimamente. Pertanto non devono sentirsi in difetto coloro che trovano alimento per la propria vita matrimoniale in quanto è detto altrove (per es., nelle catechesi Giovanni Paolo II sull’amore umano), né devono sentirsi portatori della verità assoluta coloro che si ritrovano a vario titolo in questo libro.

In certis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas” (S. Agostino).


                                                                                                                  ALESSANDRA SPANO'

Dottoressa in Filosofia, insegna filosofia e storia presso il liceo classico della sua città.










giovedì 13 settembre 2012

RAGAZZI, RENDETE STRAORDINARIE LE VOSTRE VITE



«
Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a veder voi stessi. Coraggio! È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva.» ( tratto da: L'Attimo Fuggente)

Cari studenti,
per molti di voi domani ricomincerà la scuola. Lo so che avreste desiderato avere anche solo un altro giorno in più di vacanza, che comunque, vi sarebbe risultato sempre troppo poco, rispetto ai vostri desideri.
Vi scrivo, sperando che possiate fare tesoro di queste parole e che soprattutto, vi ci ritroviate.
Risale a ben 4 anni fa il mio ultimo primo giorno di scuola. Ricordo bene l’attesa e il conto alla rovescia per far passare nel modo più veloce ed indolore possibile quei 200 giorni, che alla fine sembrano infiniti ed interminabili; però, come per magia ci si ritrova a dover sostenere le prove per la maturità ed allora si rimpiange tutto: anche i compiti di matematica con quel 4 fisso, non un centesimo di più, non un centesimo di meno. E quando finalmente, puoi scrivere la parola fine e credere che il peggio sia passato, in realtà ti accorgi che deve proprio arrivare.
L’università o il mondo del lavoro sono realtà in cui veniamo catapultati dopo essere stati protetti per 5 lunghi anni dalle braccia della scuola e se non si hanno le spalle coperte, si rischia di cadere giù con una facilità estrema. Bisogna avere gli anticorpi per affrontare questo mondo e la costruzione del nostro futuro, comincia proprio in quelle aule che si è costretti dividere con altre venti persone che si sopportano per cause di forza maggiore. Non possiamo piacere a tutti, questo è ovvio.
E poi i professori…vogliamo parlare di loro?
Che degenerati, ingiusti, incapaci, imbranati, inconcludenti, ignoranti e arroganti.
Ognuno di noi fa esperienza, ognuno di noi vive sulla propria pelle, seduto al proprio posto (possibilmente non al primo banco, grazie) la tirannia di questi mostri che vogliono a tutti i costi insegnarci qualcosa, ma in fondo perché dovrebbero volere qualcosa da noi? Chi saranno mai, per poterci dire quello che dobbiamo fare?
Bastiamo noi, che potremmo fare scuola e doposcuola a questi caproni.
Però, ragazzi, voi da questi esseri insulsi pretendete che siano pronti a darvi un voto e soprattutto un buon voto. Pretendete che nel loro registro, accanto al vostro nome compaia una lunga fila di numeri a due cifre, possibilmente. Ma perché dovreste farvi giudicare da chi ritenete incapace?
Smettete di andare a scuola. Smettete di perdere il vostro tempo tra libri, quaderni, vocabolari, dizionari, siti internet che vi servano la versione di latino last-minute. Smettete di fingere che ve ne importi qualcosa e fate un favore al vostro cervello: andate a raccogliere patate nei campi, che ce ne sarebbe un gran bisogno. Smettetela di illudervi in questo modo: che voi siate migliori di loro; perché se lo siete, non vi serve essere un nome ed un numero in un appello.
Dovete capire che non è una guerra, non è uno scrontro armato tra trincee.
Non si tratta di un incontro di boxe:  studenti versus professori; ma studenti et professori. La scuola siete voi, loro ed i vostri genitori. Se è scadente, è anche colpa vostra; perché avete smesso di vedere lo studio come impegno e come sacrificio. Vorreste i risultati, vorreste il successo, aspirate a medie galattiche e a prendere punti bonus, ma cosa ve ne fate se dietro quel numero non c’è lo studio, vero? A che vi serve il voto se non ve lo sudate giorno dopo giorno con impegno costante e sforzi per arrivare lì dove vorreste?
Dai vostri insegnanti, dai vostri docenti, dovete pretendere che vi costringano ad impegnarvi, che vi supportino nelle difficoltà senza aggirare mai l’ostacolo, ma saltandolo e dandovi gli strumenti affinchè possiate farlo con le vostre gambe.
Non credete che ci sia più soddisfazione nel perccorrere i 100metri come Bolt, piuttosto che vincere ingannando? Quanto conta per voi sapere che sulla carta siete eccellenti, se poi, nella pratica, non sapete neppure dovi si trovi Parigi o chi abba vinto la seconda guerra mondiale?
E’ vostro diritto, ma anche un vostro dovere essere istruiti. Spingete i professori ad interessarsi con rinnovato amore delle loro materie, non accontentatevi della lezioncina trita e ritrita, chiedete loro di tornare a stupirsi di quello che per vocazione e per passione un tempo hanno studiato. Costringeteli a portarvi in sentieri misteriosi, a darvi gli spunti necessari perché la Commedia non vi risulti una medicina dal gusto amaro e vomitevole, una roba vecchia che per obblighi burocratici dovete studiare, costringeteli a trasmettervi la curiosità, a suscitarvi interrogativi.
Chiedete loro di svelarvi il mistero celato dietro la Bellezza. Dovete amare quello che fate.
Tra i buoni propositi per il nuovo anno scolastico, aggiungete: serietà, rispetto ed umiltà.
Vedrete che i risultati non si faranno attendere molto se metterete voi stessi al servizio vero e sincero della cultura. Cercatela, invocatela, conservatela. Buon viaggio.

                                                                                                             VALENTINA RAGAGLIA