LE VISITE

domenica 7 febbraio 2010

L'ECCIDIO DI PORTIUS



Cari amici, nel giorno dell'anniversario dell'eccidio di Portius, avvenuto 65 anni fa, il 7 febbraio 1945, pubblico questo mio testo partecipante alla borsa di studio Enrico Coletti (mi fu assegnata invece la "Lina Coletti" sul giornalismo). Si tratta di uno dei tanti eccidi dimenticati della storia, partigiani comunisti che insieme ai titini massacrarono in Friuli Venezia Giulia i partigiani cattolici della Brigata Osoppo. Le fonti sono Gianpaolo Pansa e Gianni Oliva.
Ciao! Jakob



Borsa di studio Enrico Coletti: Il quadro della Resistenza nell’Italia Nord-Orientale ed in particolare nel Friuli, quale terreno di cultura in cui si si iscrisse l’episodio delle malghe di Portius.
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.[…]
Ma soltanto col silenzio del torturati
più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo[…]
(Pietro Calamandrei,”Lo avrai camerata Kesserling)
Così scrivera il giurista e politico italiano Pietro Calamandrei il 4 dicembre del 1952 in risposta al generale Kesselring ,comandante in capo delle forze tedesche in Italia e responsabile degli eccidi delle Fosse Ardeatine e di Marzabotto, che aveva richiesto dagli italiani la costruzione di un monumento. In questa famosa epigrafe Calamandrei ben esprime cosa fu la Resistenza in Italia: una lotta in difesa del territorio e della libertà contro il nazifascismo e l’occupazione straniera tedesca, una lotta volta non solo alla ricerca della Libertà in senso sociale e politico, ma un vero tentativo catartico di rigenerazione dopo il ventennio fascista. “un patto giurato fra uomini liberi, che volontari si adunarono per dignità e non per odio”. Tuttavia la Resistenza non fu priva di ombre, eccessi ed aberrazioni, come ebbe modo di dire Giorgio Napolitano nel suo primo messaggio da presidente della Repubblica il 15 maggio 2006:”Ci si può ormai ritrovare, superando vecchie laceranti divisioni, nel riconoscimento del significativo e del decisivo apporto della Resistenza, pur senza ignorare zone d’ombra, eccessi e aberrazioni”. Indagare ed esporre questi fatti non può né deve essere tacciato di revisionismo storico giacché essa non è altro che la semplice e nuda verità anche se a molti duole. Ma la storia non può avere coloriture politiche né deve in nome anche dell’ideali più puro nascondere vergogne ed oscenità. Giacché come diceva Pierre Baylle, uno dei padri fondatori dell’Illuminismo, in una delle più belle pagine del Dizionario storico critico:” Lo storico, insensibile a tutto il resto, deve essere attento al sentimento della Verità e deve sacrificare a questo il sentimento di un’ingiuria, il ricordo di un beneficio e l’amore stesso per la patria[…]. La Libertà e la mia sola regina, e solo ad essa ho prestato giuramento di obbedienza. Tutto ciò che lo storico dà all’amore di patria lo toglie agli attributi della storia”.
LA QUESTIONE GIULIANA
Nell’Italia Nord-Orientale con il fenomeno della resistenza emerse anche il problema nazionale, ed in particolar modo nell’aria denominata “Litorale Austriaco” o “Venezia Giulia”, nome della regiones augustea della X regio, proposta dal glottologo Graziadio Isaia Ascoli quando ancora si trovava sotto l’impero austro-ungarico. Con questo nome indichiamo la Venezia Giulia (Friuli Orientale, Trieste, Istria, Carniolia e Iapidia), la Venezia Tridentina (il Trentino Alto-Adige) e la Venezia propria (Veneto e Friuli centro-occidentale). Nell’Italia nord-orientale la questione nazionale aveva radici antiche e mai sanate: sotto la dominazione dell’aquila bipenne asburgica non si era mai sopita la cultura italiana di queste genti che portò ben presto alla contrapposizione fra irredentisti italiani e lealisti asburgici, come Gaetano Pietra o il conte Attems, che arrivò nel 1907 a negare l’esistenza di una regione giuliana. Non si può comprendere la Resistenza in Friuli e in Venezia Giulia se non analizzando questo terreno di cultura. Dal 1918, grazie al patto di Londra siglato tre anni prima con le forze della Triplice Intesa, l’Istria e le contee di Gorizia e Gradisca erano tornate italiane (queste modifiche furono ratificate inoltre nel 1920 con il trattato di Rapallo). Ma la questione era al di là dall’essere conclusa: lo dimostrano il cosiddetto“Natale di sangue” del 1920 in cui saranno espulsi D’annunzio e i suoi compagni irredentisti dalla città di Fiume e gli scontri fra il fascismo e la locale popolazione slava in Istria. Se lo sloveno e il croato furono esclusi come lingue nazionali dalle scuole e i cognomi furono italianizzati, d’altra parte fu concesso a 3.000 istrorumeni di fondare il centro di Valdarsa. Dal 1927 nasce il movimento di liberazione nazionale croato TIGR mentre nel 1934 i partiti comunisti di Italia, Austria e Jugoslavia avevano sottoscritto un documento volto all’autodeterminazione del popolo istriano. Ma, come ben descritto dallo storico Gianni Oliva nel suo “Foibe” nell’autunno del 1943 il problema nazionale nell’Italia nord-orientale assunse un’ urgenza e un rilievo ineludibili. Si passò infatti dalle trattazioni sui principi di gruppi in clandestinità a veri e propri atti e documenti ufficiali, come la dichiarazione di Pisino, con cui prima la ZAVNOH (consiglio territoriale antifascista per la liberazione della Croazia) e poi l’OF (i partigiani sloveni) avevano dichiarato, l’appartenenza della Venezia Giulia alla Jugoslavia. Nell’autunno del 1943, alla conferenza di Jaice, la vera rivelazione è un lavoratore metallurgico, pilota collaudatore della Benz nel 1912 e schermidore, abile soldato sul fronte russo durante la prima guerra mondiale e ben presto prima prigioniero sugli Urali e poi rivoluzionario nel 1917. Quest’uomo è Josip Broz, meglio conosciuto con il suo nome di battaglia “Tito”, futuro uomo di stato della Jugoslavia. Chiaro è il pensiero di Tito che con occhio disincantato aveva già compreso la futura sconfitta delle forze dell’asse e metteva in guardia gli slavi dalle ambizioni imperialistiche americana. Per “Tito e il suo collaboratore Kardelij la Venezia Giulia non è soltanto un obiettivo nazionalistico, ma il tassello di una politica internazionale che immagina la futura jugoslavia baluardo del comunismo in Europa e l’aria giuliana non come zona di confine fra stati ma come barriera tra blocchi ideologici-politici”(Gianni Oliva). “Diventerà nostro tutto ciò che si troverà nelle mani del nostro esercito” (Kardelij).
LE BRIGATE ITALIANE
I primi episodi di resistenza italiana risalgono al principio del 1943: operai dei cantieri navali di Monfalcone e Muggia, senza alcuna organizzazione, avevano tentano di ostacolare i reparti della Wermacht che operavano a Trieste e in Istria, subendo forti perdite (oltre in centinaio di morti a Gorizia stazione e nella valle del Vipacco), tornandosene alla fine per lo più nelle fabbriche. E’ il comunista Lizzero il primo a formare un gruppo dotato di amministrazione e mezzi logistici: nascono i marzo i battaglioni “Garibaldi “(che ben presto inizia a collaborare con la brigata slovena “Srecko Kosovel”), “Friuli” e il gruppo di azione patriottica GAP di Muggia. Al suo tentativo seguono poi la creazione di “Giustizia e Libertà” proprio ad Attimis, di cui Portius è una frazione, da parte di Fermo Solari, che fa riferimento al partito d’azione, e lo sviluppo di un gruppo di ex militari guidati dal tenente Cencig. Dal 1944 si organizza anche la componente cattolica: nasce la democrazia giuliana e la brigata Osoppo grazie allo sforzo di Don Aldo Moretti e di Giovanni Tanasco. Viene scelto il nome Osoppo per i trascorsi idealistici e nazionalistici: nel 1514 gli osovani avevano resistito in un lungo assalto condotto dagli imperiali guidati dal crudele conte di Frangipane opponendosi alla sua forza nonostante il Senato Veneziano, dopo aver accettato la resa del Friuli, avesse negato ogni aiuto. Inoltre durante la primavera dei popoli del 1848 i patrioti italiani avevano ad Osoppo organizzato dei moti liberali. Quasi a conferma della grazie e dalla straordinarietà di questo paese, Osoppo ha ricevuto la medaglia d’oro al valor civile per lo spirito di dignità, solidarietà e volontà di ricostruzione presentatosi in occasione del terremoto del Friuli del 1976. La brigata Osoppo sceglie come simbolo il fazzoletto verde perché, come dirà Moretti, esso è il colore della nostre terre e pianure, il colore della speranza, e inoltre si distingue nettamente dal rosso della “Garibaldi”. A fornirci il quadro dell’organizzazione italiana è Daiana Franceschini in “Portius, la resistenza lacerata”: gli osovani contano di sette battaglioni, di cui due in Carnia, due sulle Prealpi Carniche e uno sulle Giulie, i Garibaldini ne contano invece dodici, otto nella “Garibaldi-Friuli” e quattro nella “Natisone “ad est del Tagliamento. Diverse sono anche l’impostazione della lotta e delle finalità: per la brigata Osoppo la resistenza del nord-italia deve inserirsi in un quadro strategico ben delineato aiutato anche dalle divisioni anglo-americane , per i garibaldini è invece considerata prioritario l’attivismo contro i tedeschi e i loro fiancheggiatori, anche con azioni prive di portata strategica e che potrebbero mettere in pericolo la popolazione.
L’ECCIDIO DI PORTIUS “La grande Slovenia, volevano i partigiani comunisti. Noi volevamo solo combattere per la Libertà, non per il comunismo, ed eravamo favorevoli a lasciare un referendum dopo la liberazione sulla scelta dei confini. Bolla, il comandante, alzava la bandiera, bandiera italiana, bandiera con lo stemma sabaudo. Io lo mettevo in guardia: attento, gli dicevo, lo vedono i comunisti e i partigiani sloveni, quello stemma ricorda loro il fascismo, toglila. E lui no, cocciuto, perché credeva sopra ogni cosa all’Italia, senza compromessi, senza tante prudenze politiche. Avevamo sempre operato insieme, anche se noi cattolici ci preoccupavano, oltre che del’onestà dei fini, anche dell’onestà dei mezzi. Ci furono discussioni accese con i comandanti comunisti sulla necessità di azioni che comportano sacrifici di vite umane”(Da un intervista rilasciata nel 1997 da Monsignor Aldo Moretti, Medaglia d’oro al valor militare, uno dei fondatori della divisione Osoppo).
Il giorno della vergogna è il 7 febbraio 1945, mercoledì, ore 14.30 circa. Giungono in zona cento partigiani comunisti agli ordini di Giacca, Mario Toffanin e fingono di essere sbandati in cerca di un rifugio. Vengono uccisi il comandante della Osoppo, Francesco De Gregori-Bolla, il commissario politico Enea vicino al partito d’azione, al secolo Gastone Valente, una giovane donna sospettata di essere una spia, Elda Turchetti e un giovane desideroso di arruolarsi, Giovanni Comin. Altri sedici osovani vengono catturati:saranno fucilati e sotterrati fra il 8 e il 19 febbraio nella zona del Bosco Romagno a Cividale del Friuli. Eppure molti restano ancora gli enigmi: fu Giacca a decidere da solo il massacro o l’ordine fu dato dai partigiani sloveni, se non direttamente da Tito? Toffanin più volte ha cambiato versioni, motivazioni ed episodi dell’accaduto restando fermo su una sola costante “se li avessi di nuovo avanti, li accopperei tutti ancora”. Additò come causa la commistione fra gli osovani e i repubblichini per combattere i comunisti “satani spergiuri” e l’appropriazione indebita di tutte le forniture anglo-americane, cause sicuramente solo presunte e inventate. Il clima si era fatto sempre più teso fra le due formazioni dopo che il 7 novembre 1944 i garibaldini avevano festeggiato l’adesione alle brigate di Tito mentre l’Osoppo, che si era rifiutata di aderire, era stata in parte mandata forzatamente in congedo. “Vogliono farci sloggiare. Chi vuole andarsene è libero di farlo. Io resto “ (Francesco de Gregori, Bolla). Di certo c’è una lettera che porta al firma di Kardelij, collaboratore di Tito, indirizzata a Vincenzo Bianchi, rappresentante dl partito comunista italiano presso il IX corpus, tornato da Mosca insieme a Togliatti. In questa epistola si chiedeva senza preamboli di liquidare tutti coloro che non avrebbero accettato di aderire alle forze di liberazioni slovene. E’ probabile che la decima Mas, il comparto fascista di Udine, e il tenente colonnello Von Hallesleben avessero richiesto alla Osoppo di ostacolare i garibaldini per difendere l’italianità della regione, ma ogni compromesso fu immediatamente rifiutato con due lettere scritte dall’arcivescovo di Udine Nogara, proprio perché gli osovani non avevano nessun altro interesse se non la difesa della Libertà e della Dignità. Un’altra incognita è rappresentata dalla figura di Elda Turchetti, ragazza di Pagnacco segnalata da Radio Londra come spia e rivoltasi ad un garibaldino suo amico per dimostrare la propria innocenza. Giacca avrebbe dovuto o fucilarla se certo della colpevolezza o consegnarla al proprio comando per gli accertamenti. Sicuramente insolita fu invece la scelta di consegnarla alla brigata Osoppo, per molti segno che la ragazza era veramente una spia, ma al soldo dei garibaldini, per altri semplicemente capitata al posto sbagliato al momento sbagliato e utile a Giacca per accusare poi i garibaldini di avere contatti con spie. Ancora oggi resta il mistero e l’astio nei confronti di questo episodio, come per i sindaci che si sono rifiutati di far girare nei loro paesi il film “Portius” di Renzo Martinelli o, come rivelava nel 1997 l’allora ministro dei Beni culturali Veltroni: “Mi sono state fatte sommesse quanto esplicite richieste di intervenira perché “Porzus” non andasse a Venezia. Comunque, da un orecchio mi sono entrate e dall’altro mi sono uscite”. Ricordiamolo: cercare la verità della storia è sempre un dovere e riconoscere i lati bui della resistenza non vuol dire sradicarne il senso morale e il profilo storico. Ciò che lo storico dà ad un ideale o alla sua stessa patria, lo toglie alla verità storica.
Fra le vittime dell’eccidio di Portius ci fu anche il fratello di Pier Paolo Pasolini, che ricordò questa tragedia nella poesia “Vittoria”(In poesia in forma di rosa):

Dove sono le armi? Io non conosco
che quelle della mia ragione:
e nella mia violenza non c'è posto
neanche per un’ombra di azione
non intellettuale. Faccio ridere
ora, se, suggerite dal sogno,
in un grigio mattino che videro
morti, e altri morti vedranno, ma per noi
non è che un ennesimo mattino, grido
parole di lotta?
Se ne vanno… Aiuto, ci voltano le schiene,
le loro schiene sotto le eroiche giacche
di mendicanti, di disertori… Sono così serene
le montagne verso cui ritornano, batte
così leggero il mitra sul loro fianco, al passo
ch'è quello di quando cala il sole, sulle intatte
forme della vita - tornata uguale nel basso
e nel profondo! Aiuto, se ne vanno! Tornano ai loro
silenti giorni di Marzabotto o di Via Tasso…
Con la testa spaccata, la nostra testa, tesoro
umile della famiglia, grossa testa di secondogenito,
mio fratello riprende il sanguinoso sonno, solo
tra le foglie secche, i caldi fieni
di un bosco delle prealpi - nel dolore
e la pace d'una interminabile domenica…
Eppure, questo è un giorno di vittoria.
(Pier Paolo Pasolini)


di JAKOB PANZERI

1 commento:

  1. Complimenti Jakob.
    Quello della resistenza italiana è un bel problema irrisolto. Amesso che sia stata una grande prova di coraggio del popolo italiano, esaltando il coraggio e il principio di autodeterminazione dei popoli è indubbio che non fu solo guerra di liberazione dallo straniero ma anche GUERRA CIVILE.
    Giovani idealisti italiani erano sia dalla parte dei partigiani sia da quella dei repubblikini: ma perkè dire ke i secondi, solo perkè perdenti, erano dei criminali?
    E soprattutto, perkè dire ke i primi, solo perkè vincenti, erano dei santi salvatori?

    Bando alle ipocrisie. La storia insegna che in una guerra le nefandezze le fanno tutti. E sia i epubblikini ke i partigiani si sono makkiati di crimini immondi anke se spinti talora da ideali nobili.

    Spero che un giorno si possa accettare la verità per quella che è senza menzogne storike che infangano la memoria di migliaia di giovani e delle loro famiglie.
    A PROPOSITO vi consiglio la lettura delle opere di Giampaolo Pansa o la visione del film "IL SANGUE DEI VINTI" tratto da un suo romanzo omonimo, con Alessandro Preziosi e Mikele Placido.
    A bientot

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